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Milano, Tasca riordina il demanio: 60 immobili ‘dimenticati’, boom rendite affitti

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Di Nicolò Rubeis

MILANO – Da un mero elenco di 300 pagine di immobili dislocati in tutta la città- e senza informazioni sul loro valore- a 25 bandi di gara, 38 dei quali arrivati alla manifestazione di interesse. E’ questo il percorso di 60 edifici comunali censiti nel corso del mandato dall’assessore al Bilancio di Milano Roberto Tasca. “Alla fine di questa consiliatura- spiega Tasca- saremo in grado di disporre di un sistema unico di gestione accentrata degli immobili di proprietà del Comune, che farà evolvere in maniera significativa le potenzialità del nostro demanio”.

Tasca aveva accennato all’argomento durante una recente commissione consiliare: l’idea è di riunire, in un disegno più omogeneo, i patrimoni pubblici in capo all’amministrazione. Un nuovo modello sulle ceneri di quello lasciato in eredità, che “presentava pesanti problemi di infrastruttura”. Mancanze che portavano ad un’ampia dispersione dei beni demaniali, depositati e abbandonati, a detta di Tasca, in alcuni assessorati, municipi o in direzioni varie.

“Il responsabile del Demanio- disse in commissione l’assessore- non era al corrente di tutte le informazioni, soprattutto in relazione ai rapporti economici non di mercato”. Quando Tasca venne chiamato dal sindaco Beppe Sala per custodire il Bilancio del Comune, quello che vide non gli piacque per niente: “Chiesi di capire quali erano i nostri patrimoni e mi portarono un documento di 300 pagine che altro non era che l’inventario degli immobili. Ci mancavano chiaramente dei passaggi”.

L’impegno di Tasca, negli anni, è stato proprio quello di riunificare i beni di Palazzo Marino, riportandoli sotto il controllo del suo assessorato. Nello specifico- come ricostruito dalla ‘Dire’- sono 60 gli immobili che erano sfuggiti all’amministrazione centrale, e dei quali, di fatto, non c’era contezza. Alcuni di questi sono stati gestiti prevalentemente dai municipi, per lo più uffici o servizi, altri invece non sono mai stati utilizzati, proprio perché ‘spariti’ dai radar del Demanio. Tra questi, 25 immobili ‘dimenticati’, di proprietà del Comune, sono stati messi a bando con procedimenti di interesse pubblico. Si tratta soprattutto di aree o cascine, 38 delle quali arrivate alla fase della manifestazione di interesse.

DEMANIO, AFFITTI GALLERIA VITTORIO EMANUELE II QUINTUPLICATI DAL 2007

La valorizzazione di un bene di proprietà del Comune, può avvenire non solo con la vendita, ma anche attraverso gli affitti. Lo ha capito il Comune di Milano con l’esempio più calzante della Galleria Vittorio Emanuele II, simbolo della moda e del lusso del centro storico milanese alle pendici del Duomo. Il passaggio coperto che conduce proprio in piazza della Scala, dove si trova la sede del Comune, conta circa 55 vetrine, e molti spazi nei piani superiori. A cavallo tra gli anni ’90 e 2000, la maggior parte dei locali era gestito da associazioni o da enti, che li ricevevano a prezzi calmierati, pagando un canone non di mercato.

Il percorso che ha portato all’attuale valorizzazione economica partì proprio dall’ex sindaca Moratti. Nel 2007, infatti, l’attuale vice del presidente lombardo Attilio Fontana, decise di far tornare la Galleria un luogo a vocazione commerciale. I risultati iniziarono a vedersi da subito, seppur con crescite a rilento. Dagli 8 milioni di euro circa che il Comune incassava con gli affitti della Galleria, si passò infatti ai 9,5 milioni dell’anno successivo, fino agli 11,5 milioni del 2009 e i quasi 12 milioni del 2010.

Con l’arrivo di Giuliano Pisapia a Palazzo Marino iniziò poi la politica delle gare pubbliche per ogni spazio, contestate (anche durante gli anni dell’amministrazione Sala) da chi occupava una vetrina e voleva rimanerci. Il primo anno di mandato del sindaco ‘arancione’ si chiuse con 11,5 milioni di ricavi per le casse del Comune, ottenuti con gli affitti della Galleria. Nel 2012 gli introiti salirono a 12 milioni, ma è dal 2013 in poi che l’ascesa è stata inarrestabile. Gli spazi del passaggio coperto fruttarono quell’anno 20 milioni di euro al Comune, quasi 24 milioni nel 2014 e circa 26 milioni nel 2015.

Una crescita continuata poi anche con l’avvento di Beppe Sala. Dopo il suo primo anno a Palazzo Marino, la rendita dei locali della Galleria arrivò a toccare i 27 milioni di euro, saliti a 28 nel 2017, a 30 milioni nel 2018, e ai 34 milioni del 2019. L’anno scorso, le vetrine di Vittorio Emanuele II, hanno portato un profitto al Comune di circa 40 milioni di euro, un valore quintuplicato rispetto al 2007, quando iniziò il percorso di rigenerazione commerciale.

I problemi comunque, durante questo processo di valorizzazione, non sono mancati. I ricorsi di chi contestava le nuove modalità di assegnazione degli spazi, vennero tutti vinti dall’amministrazione. La quale, dal canto suo, si è impegnata nel proporre una sorta di rinnovo automatico per le botteghe storiche che hanno più di 50 anni alle spalle trascorsi in Galleria. Per buona pace degli esercenti e, soprattutto delle casse del Comune, che oggi può contare su un quadro più unitario dei propri possedimenti. Perché, come dice l’assessore al bilancio Roberto Tasca, un bene del demanio pubblico “è della collettività”, ma la sua valorizzazione non può più prescindere dall’aspetto economico.

DEMANIO, DOPO VENDITE RECORD TASCA AFFRONTA NODO BNP

Incassate le manifestazioni di interesse sugli immobili ‘dimenticati’, una sessantina, la partita di riordino del Demanio comunale avviata dall’assessore di Milano Roberto Tasca affronta un altro capitolo: lo spinoso tema dei fondi immobiliari aperti dalla giunta di Letizia Moratti. Nel 2007-2008 l’allora sindaca di Milano affidò la gestione del demanio comunale e la sua valorizzazione economica al gruppo di credito Bnp Paribas, un modo per fare cassa e finanziare la spesa corrente. Stando a quanto risulta alla ‘Dire’, i conti di Palazzo Marino vennero rimpinguati con 150 milioni di euro freschi. Ma l’operazione di alienazione non si è completata. Al punto che se oggi Palazzo Marino chiudesse il contratto con Bnp sarebbe da liquidare al gruppo francese una cifra intorno ai 33 milioni di euro.

La cosiddetta ‘cartolarizzazione’ dei beni che fu varata dalla giunta Moratti viene ampiamente applicata nelle operazioni di finanza pubblica. E spesso funziona. Il meccanismo è questo: invece di avviare la cessione diretta dei beni, li si può affidare a società specializzate, riscuotendo immediatamente liquidità. continua a leggere sul sito di riferimento

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